Mi affeziono
ai maglioni, alle scarpe e a quelle scatole in latta
dove finiscono foto di genitori bambini e bottoni smarriti.
Mi affeziono ai libri,
alle parole che si mischiano e inventano mari, odissee e ritorni;
ma anche alle note,
molecole di un Dio che si diverte nel confondersi in musica.
Mi affeziono poi tantissimo agli alberi,
a volte torno a cercarli a distanza di anni:
mi fa bene trovarli ancora là.
Ho capito,
ho capito che in questo vano chiasso dell’esistenza
ci appassioniamo alle piccole, stupide cose.
Cose che non stancano – ciclicità stagionali –
come adesso
che l’inverno si avvicina e provo uno strano ristoro
nel contare i noccioli d’oliva sul piatto,
oppure nel perdermi nell’arancio di un cachi,
o ancora nello scoppiettare della legna che schizza via
in frammenti ardenti,
stelle di un’estate ancestrale che ogni tanto ritorna
alla mente silente.
E se mi affeziono a questo,
dopotutto,
figurarsi allora ad altri esseri umani.